Quello che vi riporto è il diario che scrissi quando andai in Myanmar nel 2007. Uno dei viaggi più fantastici che ho fatto grazie non solo ai bellissimi paesaggi ed architetture del paese ma soprattutto per gli incontri che abbiamo avuto con la popolazione del luogo: a partire dal nostro amico Sonny che ci ha accompagnato in giro con la sua auto nella prima parte del viaggio, ai bimbi delle scuole che abbiamo visitato, alla gente che incontravamo lungo le strade polverose di questa terra fantastica e contemporaneamente molto sfortunata. Anche se l’incontro che più mi ha colpita è stato quello di Mandalay dove, nella semi oscurità del tramonto ho incontrato un uomo di mezz’età con le sue due giovani figlie che, pedalando, si avvicinano a noi, per parlarci….questo è il racconto di un viaggio, di un paese magnifico e di un incontro che mi è rimasto nel cuore!

Quello che vi riporto è il diario che scrissi quando andai in Myanmar nel 2007. Uno dei viaggi più fantastici che ho fatto grazie non solo ai bellissimi paesaggi ed architetture del paese ma soprattutto per gli incontri che abbiamo avuto con la popolazione del luogo: a partire dal nostro amico Sonny che ci ha accompagnato in giro con la sua auto nella prima parte del viaggio, ai bimbi delle scuole che abbiamo visitato, alla gente che incontravamo lungo le strade polverose di questa terra fantastica e contemporaneamente molto sfortunata. Anche se l’incontro che più mi ha colpita è stato quello di Mandalay dove, nella semi oscurità del tramonto ho incontrato un uomo di mezz’età con le sue due giovani figlie che, pedalando, si avvicinano a noi, per parlarci.Pensavamo volesse venderci qualcosa o proporsi come guida turistica, scopriamo invece che ci vuole parlare dell’atroce situazione in cui il popolo birmano, dimenticato dal resto del mondo, vive. Ci racconta della dittatura, dei lavori forzati, delle torture e delle deportazioni. Ma di fronte a questo elenco di atrocità, per noi inconcepibili ed assurde, la cosa che lui più sottolinea, e per la quale combatte e ci chiede aiuto, è la totale assenza di democrazia e di libertà di parola. Le Nazioni Unite continuano a pagare per il restauro delle pagode ma nulla di più, la dittatura continua a violare i più basilari principi su cui l’organizzazione internazionale si fonda. “La speranza è che un cambiamento venga da fuori” ci dice “Il mondo non può dimenticarci, raccontate ciò che vi ho detto nel vostro paese e tornate in Birmania perché solo in questo modo, solo se i turisti vengono qui da noi, possiamo comunicare al mondo la nostra situazione e continuare a sperare.” Questo è il motivo per cui ho deciso di pubblicare questo diario.

Viaggio con bambini in Myanmar si o no?

Come avrete capito il viaggio che ho fatto in Myanmar è stato per me indimenticabile, ho deciso quindi di inserirlo nel blog (anche per mantenere fede alla promessa fatta sulle rive del lago di Mandalay otto anni fa). Tuttavia un viaggio in Myanmar con bimbi piccoli può essere particolarmente faticoso visti i lunghi tempi da trascorrere in auto lungo strade sgangherate e polverose e le scarse strutture ospedaliere. In relatà nel nostro girovagare per il paese abbiamo incontrato anche qui famiglie (nord europee) con figli piccoli, tra queste quella che mi ha più stupito era una giovane coppia di norvegesi con tre figli dai 2 ai 10 anni che girava il paese in bicicletta. Insomma, un viaggio in Myanmar con bimbi molto piccoli lo sconsiglierei, io però mi riprometto di tornarci quando Gabriele sarà un pò più grandicello, magari verso gli 8/10 anni, perché vorrei che anche lui possa vedere di persona, con i sui occhi e il suo cuore, le bellezze di questo paese e la capacità che questo popolo ha di sorridere nonostante le condizioni di vita in cui è stato costretto a vivere.

Quando andare

Il periodo migliore per andare in Myanmar è da novembre a febbraio, che corrisponde alla stagione secca. Da marzo a maggio il caldo tende ad essere particolarmente forte, mentre la nostra estate (giugno-settembre) corrisponde alla stagione delle piogge, con umidità e temperature elevate.

Fuso orario

5 ore e mezza avanti rispetto all’ora italiana (4 e mezza quando vige l’ora legale). Ciò significa che quando a Yangon è mezzogiorno in Italia sono le 6.30 del mattino (7.30 con l’ora legale).

Come arrivare

In aereo: non ci sono voli diretti dall’Italia per il Myanmar ma varie compagnie aeree volano su Yangon (ci sono infatti voli diretti per Yangon da Bangkok, Singapore, Kuala Lampur, Karachi, Calcutta, Dacca, Kunming, Mosca e Vientiane).

Come muoversi nel paese

Noleggio auto con autista che io abitualmente sconsiglio (questo è l’unico paese dove abbiamo scelto questa opzione) ma che forse qui può essere utile, soprattutto per ridurre i tempi di spostamento (evitando di dover cambiare 4/5 bus per percorrere 100 km!). Noi abbiamo effettuato la prima parte del nostro itinerario con Sonny col quale ci siamo trovati benissimo. Andando via gli avevamo lasciato alcune guide turistiche sul Myanmar in Italiano poiché mi aveva detto che gli sarebbe piaciuto impararlo e con mia grande sorpresa ho scoperto che adesso effettua guide turistiche sia in italiano che in inglese. Il suo sito è: www.sonny-myanmar-travelguide.com

E i suoi contatti sono:

sonnymyanmar@gmail.com
info@sonny-myanmar-travelguide.com
sonny@myanmar.com.mm

Traghetto Per spostarsi da Mandalay a Bagan l’opzione battello è perfetta, rilassante ed economica, tenete però conto che i tempi di percorrenza sono lunghetti noi eravamo partiti verso le 8 per arrivare alle 19!!

Pullman I bus sono piuttosto malandati, affollati ed estremamente lenti, li sconsiglierei decisamente per un viaggio con bambini soprattutto sulle lunghe percorrenze!

Voli interni Io non amo i voli interni, servono per chi ama viaggi “toccata e fuga”, mentre il bello di questo paese consiste proprio nel poterlo assaporare con lentezza lungo le sue strade polverose ma ricche di scorsi e incontri fantastici. Se però avete poco tempo potreste utilizzare un volo interno facilmente prenotabile su internet.

Il nostro itinerario

1° GIORNO: Yangon-Taungoo con visita a Bago

2° GIORNO: Taungoo-Inle Lake, altre 10 ore di viaggio!

3° GIORNO: Visita del Lago Inle

5° GIORNO: da Kalaw a Mandalay

6° GIORNO: Mandalay

7° GIORNO: Mandalay

8° GIORNO: Mandalay -Bagan

9° GIORNO: Bagan

Dal 10° al 12° GIORNO: Visita Bagan

13° GIORNO: Da Bagan a Yangon

Dal 13° al 15° GIORNO Visita Yangon

 

1° GIORNO: Yangon-Taungoo con visita a Bago

Arriviamo a Yangon alle 6 del mattino (ora locale, per noi sarebbe mezzanotte e mezza!) dopo circa 19 ore di viaggio di cui 13 in volo! Sonny, l’autista che ci accompagnerà durante i primi 5 giorni della nostra vacanza, ci aspetta puntuale all’uscita dell’aeroporto.

Ci porta per una breve pausa ristoratrice a casa sua, dove conosciamo sua mamma, uno dei suoi due figli che si sta preparando per andare a scuola e la moglie che ci offre una buona tazza di caffè e latte. Dopo esserci cambiati, passando dal look invernale con giaccone e maglia di lana a calzoni corti e canottiera, saliamo in macchina, ma, prima di partire Sonny svolge una specie di rito augurale cospargendo l’auto di acqua, appendendo profumatissimi fiori di mughetto all’interno della macchina (altro che arbre magic!!) e raccogliendosi per alcuni secondi in preghiera.

Sonny è un pò preoccupato perché, ci spiega, la settimana precedente ha portato in giro altri italiani che, durante la vacanza, hanno perso la macchina fotografica. Lui, non si sente responsabile dell’accaduto, ma ha paura che gli italiani, al loro ritorno, possano fargli una cattiva pubblicità. Entra in un grande magazzino per informarsi del costo della macchina fotografica, gliela vorrebbe ricomprare, …300 euro sono per Sonny, che mantiene una moglie, 2 figli e l’anziana madre, lo stipendio di un mese (massimo!) …lo vediamo uscire dal negozio scoraggiato ma, dopo una lunga chiacchierata, si convince che, non essendo sua la colpa dell’accaduto, i turisti non potranno lamentarsi.

Lungo la strada per Bago, si arriva a Htaukkyant, dove la strada si biforca proseguendo a nord-ovest per Pyay e a nord-est per Bago e Mandalay. Poco oltre l’incrocio è situato un cimitero di guerra in cui riposano 27.000 soldati alleati caduti durante la seconda guerra mondiale. Riprendendo la strada verso Bago ci fermiamo a vedere lo Shwethalyaung (994 d.c.), un enorme Buddha reclinato (lungo 55 metri e alto 16). I birmani dicono che in quest’immagine  il Buddha è colto nell’atto di rilassarsi e non in quello della morte, questo perché gli occhi sono completamente aperti e i piedi leggermente divaricati invece che paralleli. Passiamo poi di fronte alla Shwemawdaw Paya alta 114 metri costruita più di 1.000 anni fa dai mon e visitiamo la Kyaik Pun Paya ossia un edificio contenente 4 Buddha seduti alti 4 metri e posti schiena contro schiena attorno a un grande pilastro a pianta quadrata. Infine ci fermiamo in uno spiazzo dove ci sono 28 statue di Buddha in meditazione.

Inizia così il nostro viaggio in Myanmar…lungo strade polverose, non sempre asfaltate, dove, su una sola corsia, scorrono due sensi di marcia ciascuno costituito da: uomini, biciclette, risciò, camioncini, bus e camion (talvolta mucche, bufali e altri animali). Non esistono autostrade (ne qualcosa che possa assomigliarvi neanche lontanamente!) ma i pedaggi si pagano ugualmente: gli autisti arrivano a gran velocità presso il casello, suonano ripetutamente il clacson per comunicare al casellante il loro arrivo, la sbarra viene alzata e i soldi del pedaggio lanciati dal finestrino!

A prima vista sembra che nel paese regni sovrano il caos, poi, osservando con più attenzione ci si accorge che è solo una questione di “regole diverse”, che, una volta apprese, permettono al turista di ristabilire un equilibrio apparentemente inesistente. E’ il caso delle precedenze stradali (premesso che, da queste parti, se si esclude qualche zona di Yangon, non ci sono attraversamenti pedonali né semafori): qui vige la legge del “più grande” che ha sempre la precedenza, e, in ogni caso, quando si sorpassa, non si aspetta di verificare che sussistano le dovute condizioni per effettuare il sorpasso ma si suona il clacson e si va oltre…. è dovere di chi sta davanti scansarsi per lasciare spazio!

Dopo 4 ore di auto ci fermiamo lungo la strada, un villaggio di 4 casette in paglia e bambù costeggia la strada sterrata, qui si fabbricano cesti di vimini, ci avviciniamo e tutti ci osservano stupiti e incuriositi. E’ questo il mio primo approccio col popolo birmano, con le donne birmane che mi guardano sgranando gli occhi  e i loro sorrisi rossi di betel: finalmente un posto dove le donne sono, almeno apparentemente, libere di agire come vogliono, libere di essere curiose, di conoscere e avvicinare una donna tanto diversa da loro…mentre gli uomini restano in disparte, sorridenti anche loro, si avvicineranno solo dopo un pò! Le donne indicano le mie braccia bianche e i capelli biondi,  ridono a crepapelle gesticolando fra di loro, scattiamo alcune foto e gliele mostriamo, ridono di gusto indicandosi le une con le altre. Vedere come si fanno le ceste di vimini è sicuramente istruttivo ma l’aspetto più bello di questa sosta è stato lo scambio di sorrisi e curiosità “bidirezionale”; solitamente quando si va in vacanza le persone del luogo sono per il turista sempre una novità ma non è quasi mai vero il contrario; qui invece “loro” sono stati per me una scoperta ma anche io lo sono stata per queste persone…un’emozione unica e indescrivibile!

Riprendiamo il viaggio, è un continuo ripetersi di casette di legno “tipo palafitte”, polvere e …bambini! Ce ne sono tantissimi! In città indossano il longy verde (a indicare che il paese in cui vivono si basa sull’agricoltura) e camicia bianca, nei paesi non hanno una divisa, spesso neanche le scarpe (che, in ogni caso, sarebbero delle infradito)…ciò che li accomuna è il sorriso che li accompagna ovunque e le coloratissime borse shan che usano come cartelle. I bambini sono ovunque, giocano per strada, vanno a scuola, lavorano nei campi, aprono e chiudono i passaggi a livello e asfaltano le strade!

Ci fermiamo per pranzo, tipico pasto bamar: riso, verdure, maiale o pollo, zuppa vegetale e frutta.

Ci rimettiamo in marcia, ci aspettano ancora 5 ore di automobile lungo strade semi sterrate, e i nostri occhi si riempiono di volti, sorrisi, donne e bambini che lavorano sotto il sole a spaccare le pietre (l’agricoltura non fornisce lavoro per tutti ci dice Sonny, ma sulla rara stampa internazionale che si occupa di questa terra dimenticata si legge “..se si deve costruire una strada il governo non assume operai, ma recluta le famiglie della zona a “lavori forzati” di interesse generale e chi rifiuta, se ha coraggio e denaro, deve pagare una tassa altissima!” ), uomini che arano i campi con i bufali…polvere ovunque.

2° GIORNO: Taungoo-Inle Lake, altre 10 ore di viaggio!

Sveglia alle 6 e partenza subito dopo colazione. Percorriamo la strada che da sud a nord segna il confine con gli stati Kayah (a nord) e Kayin (a sud); questi ultimi, detti anche karen, costituiscono un gruppo vario e numeroso, suddiviso a sua volta in vari sottogruppi. Originariamente animisti, sono stati in gran parte convertiti al cristianesimo dai missionari cristiani (alcuni dei quali hanno persino sostenuto che fossero i discendenti di una tribù perduta di Israele) tra il XIX ed il XX secolo, mentre altri scelsero il buddismo. Come gran parte dei popoli della Birmania, anche i karen sono vissuti tradizionalmente di agricoltura e hanno fama di esperti boscaioli; sono in particolare famosi per la cattura e l’addestramento, basato sulla pazienza e la perseveranza, senza ricorso a metodi crudeli, degli elefanti che vengono usati per spostare grossi tronchi d’albero. Il Myanmar è infatti uno dei principali produttori mondiali di tek dal momento che detiene il 90% delle riserve naturali mondiali di questo prezioso legno… i militari ripiantano ogni anno ben 30.000 ettari di foreste! Ci capiterà spesso, durante il viaggio, di incontrare camion stracolmi di immensi tronchi di tek che vengono trasportati dalle foreste alle città.

I Karen sono un popolo indipendente ma la loro frammentazione interna ha spesso reso loro impossibile esercitare una effettiva influenza politica. Qui il reclutamento tra i dissidenti di soldati bambini è piuttosto massiccio, l’”Esercito di Dio” è un gruppo di ribelli che si è guadagnato, alcuni anni fa, le prime pagine dei giornali con la sua breve campagna di lotta armata contro il governo.

Qui, sul confine, tra Birmania e Thailandia, si gioca una partita che ha sempre interessato pochi, in Occidente. Da una parte uno dei tanti piccoli popoli che le suddivisioni coloniali hanno lasciato

senza una patria. Dall’altra una giunta militare, quella birmana, chiusa, oppressiva, corrotta decisa a spazzar via l’identità dei Karen, con le uccisioni, i rastrellamenti, le torture, la pulizia etnica. Tra le montagne, nella giungla, è difficile che qualcuno si intrometta. È facile coprire tutto con il silenzio delle vittime. Ed è per rompere questo silenzio che la frangia più disperata della guerriglia ha in passato attraversato il confine e ha colpito in Thailandia. Azioni eclatanti, suicide. Prima l’assalto all’ambasciata della Birmania a Bangkok, poi quello all’ospedale di Ratchabury, finito con l’uccisione, a sangue freddo, dei guerriglieri-bambini. Bambini sono anche i loro comandanti, Luther e Johnny, due gemelli di religione cristiana battista che hanno imbracciato le armi all’età di nove anni,  quando guidarono altri cinque ragazzi più grandi all’attacco di un avamposto dell’esercito. Tornarono carichi di armi e di gloria, entrando così, subito, nel mito, nella leggenda, si dice abbiano poteri magici, e chissà, forse gli hanno già trovato un posticino nell’articolato mondo di spiritelli e nats che popola lo straordinario immaginario collettivo birmano.

Ed in effetti lungo le strade deserte di turisti, ci capita di vedere persone con il mitra e, lungo la ferrovia, confine fisico con lo stato Kayn, ogni cento metri, due soldati montano la guardia imbracciando i loro fucili. Incontreremo successivamente camion carichi di soldati e alla domanda “Da dove vengono?” ci viene detto che tornano dalla guerra, quella combattuta contro i ribelli e dissidenti.

Ci fermiamo a fare un giro in un mercato che incontriamo lungo la strada, è pieno di gente che vende, guarda, compra e baratta oggetti di uso quotidiano, principalmente cibo (carne e verdura) ma anche stoffe e fiori che, da queste parti, non mancano mai. Veniamo travolti da un’ondata di colori, odori, rumori, sorrisi e sguardi incuriositi, come quelli puntati su di me quando una donna del mercato mi spalma sul viso una specie di “crema” biancastra ricavata dalla corteccia dell’albero di sandalo che viene passata su una pietra con dell’acqua fino ad ottenere un impasto bianco. Questa crema viene poi spalmata sul viso, talvolta casualmente, talvolta disegnando sulle guance forme geometriche o floreali, con lo scopo di proteggersi dal sole (la pasta da effettivamente una sensazione rinfrescante) ma anche per motivi estetici, essa permette infatti di rendere più chiara la pelle di questa popolazioni il cui incarnato ha un colorito scuro. I canoni di bellezza sono opposti ai nostri, qui si ambisce ad essere grassi o comunque “in carne” (come del resto avviene per tutte le popolazioni che sanno cosa vuol dir la fame e per chi ha conosciuto la guerra e le restrizioni alimentari; quale importanza davano i miei nonni al mangiare, durante quei pranzi di famiglia, a Natale, dove la nonna cucinava per giorni e la tavola era sempre stracolma al punto che avanzava sempre buona parte del cibo che ci portavamo a casa e mangiavamo i giorni successivi!).

In mezzo a questo via vai di gente che compra e vende ci sono poi persone che svolgono altri mestieri, è il caso dei parrucchieri che, in mezzo a verdure, carne e pesce, seduti su uno sgabello tagliano i capelli a uomini e bambini di fronte a specchi opachi e incrostati. Ci sono poi le sarte per confezionare abiti su misura; Sonny mi compra un longy e me lo fa confezionare all’istante da una donna che, sotto un tetto di paglia, cuce rapida e precisa con una macchina da cucire di quelle a pedali. Finito il lavoro le donne del luogo mi fanno vedere come si indossa questo tipico gonnellone multicolore e alle mie spalle una folla di volti si accalca e ride di gusto  davanti a questo spettacolo per loro insolito.

Proseguendo nel viaggio, incontriamo altri militari, Sonny è un pò teso e mi dice di non scattar loro fotografie; nei campi i pozzi sono sormontati da “pompe ad estrazione” in bambù, donne lavorano nelle risaie, coi piedi nell’acqua, seminano il riso in file perfettamente allineate.

Il sistema agricolo qui è di tipo feudale: le terre appartengono allo Stato che le dà da coltivare alle famiglie dei villaggi che in cambio devono vendere allo stato a un prezzo prefissato, molto inferiore a quello praticato al mercato nero, un certo quantitativo della produzione dei campi; solo la parte eccedente tale quantitativo potrà essere venduta al mercato nero e generare un guadagno per la popolazione.

Arriviamo al Lago Inle (Nyaungshwe) nel tardo pomeriggio, l’albergo è carino, immerso nel verde e un pò fuori dal centro, ceniamo all’Hu Pin Restaurant, il miglior ristorante cinese del paese, è pulito e il cameriere, come indica la guida Routard e come lui ben sa visto che ci chiede di fargli vedere la pagina dove si parla di lui e la mostra a tutti i clienti del locale, parla un po’ tutte le lingue!!

3° GIORNO: Visita del Lago Inle

Sonny arriva in albergo a prelevarci alle 8.30 e in pochi minuti siamo al lago. Saliamo su una canoa a motore e iniziamo il nostro tour che finirà verso le 17. La giornata non è delle migliori, foschia e cielo nuvoloso rendono l’aria fresca, ci vuole il maglione! Sfrecciando sull’acqua vediamo gli orti galleggianti coltivati con verdure (quanti pomodori!) e fiori, pescatori che osservano l’acqua per vedere se, in qualche punto, salgono delle bolle in superficie, indice questo della presenza di un pesce. Avvistate le bolle buttano in quel punto una rete rigida in bambù a forma di campana, dentro la quale il pesce rimane imprigionato e infiocinato dal pescatore.

Lunghe canoe a motore trasportano i primi turisti (max 4 per canoa) e le persone del luogo che vanno a coltivare gli orti galleggianti (min 4 per canoa…fino a 40!). Ci infiliamo in canali laterali, risaliamo piccole cascatine, incrociamo i famosi barcaioli che remano con una gamba ed arriviamo al primo tempio. Passato un baretto ed alcune bancarelle di souvenir (qui i venditori non sono insistenti come in Indonesia!) arriviamo a un ponte che attraversa un fiume nelle cui acque le popolazioni della montagna (Shan) vengono a lavarsi, abbeverare il bestiame e lavare i panni. I turisti si fermano a scattare foto e video, scatto qualche foto anch’io ma mi sento presa da un senso di fastidio; è come se mi nascondessi dietro alla macchina fotografica, vergognandomi per quelle foto che rubano la quotidianità altrui. Sonny, dopo aver contrattato per una borsa Shan che gli avevo detto di voler comprare (2.000 kyat anziché 4.000!)  ed azzeccando in pieno  il colore, ci trascina via dal mercato per portarci direttamente al tempio; in questo modo faremo il giro turistico “contro corrente” rispetto agli altri turisti ed in effetti il tempio, con le sue centinaia di stupa, è tutto per noi.

Il monastero di Nyaung Ohak è costituito da un complesso di templi e stupa in rovina che si ergono alla base di una collina sulla cui sommità sorge lo Shwe Inn Thein a cui si accede per mezzo di una scala con più di 400 colonne lignee.

Visitiamo il monastero alla sommità della collina, all’esterno bombolette di vernice spray color oro giacciono vicino agli stupa in ricostruzione. Scendiamo ai piedi del monastero dove sorge un vivace e colorato  mercato, mi fermo a scattare parecchie foto alle persone del posto, ai loro visi, alle loro espressioni. Facciamo una pausa per un breve spuntino a base di thè e verdure fritte e riprendiamo il nostro tour verso la Phaung Daw U Paya, il sito religioso più sacro della zona meridionale dello stato Shan. Al centro dell’edificio ci sono 5 statue che rappresentano simbolicamente Buddha, 4 delle quali vengono portate in barca durante la processione che si svolge in autunno. Accanto al canale sono custodite le elaborate imbarcazioni usate per trasportare i 4 Buddha durante il rito annuale. Sonny si ferma a pregare. Pranziamo in un fantastico ristorante sul lago a base di pesce e riprendiamo visitando la fabbrica dei tessuti (dove vediamo l’intero processo di produzione dall’estrazione delle fibre di cotone e seta, alla tessitura e tintura), quella dove si lavora il metallo e quella dei sigari dove giovani ragazze, bambine, avvolgono il tabacco in grandi foglie con precisione e una velocità incredibile. Non è facile dimenticare i loro occhi e neppure le mani che corrono sui sigari come potrebbero volare sui tasti di un pianoforte se solo fossero nate in un’altra parte del mondo. In una giornata ciascuna di queste ragazzine deve preparare centinaia di sigari: ha tempo dalle sette di mattina alle sei di sera, tutto per 1 dollaro. A quanto pare la crudeltà della vita comincia poco dopo la nascita in questa terra che gli dei hanno voluta ricca e rigogliosa e gli uomini e la storia hanno ridotto a sofferenza, una sofferenza sempre, inspiegabilmente per noi occidentali, accompagnata dal sorriso. Visitiamo ancora il “Monastero dei Gatti Saltanti” (molto turistico e piuttosto bruttino), entriamo in un recinto “acquatico” da cui Sonny raccoglie 2 ninfee e le trasforma in collane che ci regala. Torniamo verso sera in albergo.

4° GIORNO: Pindaya e Kalaw

Partiamo dopo colazione e ci fermiamo quasi subito per visitare un monastero in tek che ospita giovani monaci coi quali mi fermo a scambiare 4 parole in inglese: sono 3 ragazzini di 10,12 e 14 anni ma, sarà per l’altezza, mi sembrano ancora più piccoli. Vicino al monastero un tempio si sta riempiendo di donne Shan che scendono dalle montagne per portare le loro offerte e pregare, hanno in testa i loro copricapi colorati ed in mano ceste di cibo e fiori. Mi siedo fra loro, mi guardano intensamente e ci stringiamo le mani le una nelle altre, un gesto di affetto e simpatia che racchiude in sè mille parole e pensieri. A 2 ore e mezzo di strada dal Lago Inle la cittadina di Pindaya (a 1.183 m di altitudine) è famosa per la sua grotta con 8.000 Buddha, una delle più belle del Sud-Est Asiatico. Ci arrampichiamo lungo una ripida scala (volendo si può prendere l’ascensore costruito appositamente per i turisti) ed arriviamo all’ingresso della grotta da cui partono una serie di gallerie che conducono ad altre grotte le cui pareti sono cosparse da statue di Buddha di tutte le dimensioni; chiunque può comprare una statuetta e chiedere che venga inserita all’interno della grotta. Le statue possono essere di vari materiali (legno, pietra, marmo,..) sarà poi compito dei fedeli dorarle attaccandoci sopra sottili foglie d’oro…sotto ogni Buddha una targa ne indica il nome del donatore e la nazionalità. Ed ecco che, davanti a noi, in mezzo a migliaia di statuette, compare il Buddha donato dal “Gruppo Gubbio” che incontreremo all’uscita della grotta e molte altre volte durante il viaggio. All’uscita della grotta troviamo il mitico Gianfranco (organizzatore del Gruppo Gubbio) che ci spiega di aver comprato la statuetta che abbiamo visto alcuni anni fa facendo una colletta fra i partecipanti del viaggio: 100 euro di statuetta, “al naturale”…”speriamo me l’abbiano indorata i monaci!” ci dice Gianfranco.

Ci fermiamo a mangiare in un bellissimo ristorante in riva a un lago (12.000 kyat per 3!).

Proseguiamo con una visita a una fabbrica dove si produce artigianalmente la carta di riso adornata con foglie e fiori secchi ed utilizzata per fare ombrelli “para sole” oltre che quaderni, lanterne, buste,..noi compriamo alcuni quaderni. Proseguiamo per Kalaw dove ci fermiamo per la notte. Si tratta di una stazione montana a 1.300 m di altitudine, chiamata a volte Pine City per la presenza di molti pini. E’ abitata da ricchi birmani che, ritiratisi in pensione, vivono in case nascoste nel verde. In epoca coloniale era una stazione di villeggiatura per britannici. Facciamo un giro per il paese, piccolino, visitiamo alcuni stupa bianchi e quello ricoperto di specchi, prendiamo un tè birmano in una te-house lungo la strada e ci fermiamo ad acquistare il nostro primo dipinto…a lume di candela visto che non c’è elettricità! Ceniamo all’Everest Restaurant, un ristorante popolare, gestito da una famiglia nepalese, in compagnia di Grent (uno scozzese chiacchierone amante della birra!) e Richard (un francese di 62 anni in giro per l’Asia). La cena è a base di tomato soup, chapati (non chupito Vale!) con patate, fruit salad, crepe al miele e..la mia prima coca-cola!

5° GIORNO: da Kalaw a Mandalay

Ci svegliamo sotto un incredibile diluvio, l’aria è fresca e “il cagotto del viaggiatore” mi ha colpito inesorabilmente, non è grave, ma mi accompagnerà per alcuni giorni!

Dopo colazione ci mettiamo in macchina, la prima parte del viaggio è un susseguirsi di curve (che ci avevano già torturato all’andata), di risaie, alberi fioriti che spuntano attraverso foglie cosparse di polvere. La pioggia rende scivolosa e fangosa la strada non asfaltata, è un susseguirsi di paesaggi e volti già visti, entrati nelle nostre teste con tale impeto e in un così breve arco di tempo da abitare anche i nostri sogni. Lungo la strada due ragazzini litigano in modo acceso…ma allora si arrabbiano anche da queste parti!

Facciamo una sosta per visitare un villaggio dove si producono vasi di terracotta. Una donna, accovacciata a terra, lavora la creta disposta su un piano rotondo che fa girare con una mano…sarebbe molto più comodo sedersi su uno sgabello e girare il piano su cui è posta la creta con il piede (come abbiamo visto fare in turchia); in queste terre spesso ci si stupisce di come certe “innovazioni”, per noi ovvie, non abbiano ancora fatto capolino.

Più avanti ci fermiamo per far visita a una scuola elementare. Scendiamo dalla macchina, ci avviciniamo e i bambini che poco prima giocavano nel cortile rincorrendosi e urlando, si bloccano all’improvviso, si avvicinano gli uni agli altri fino a formare un gruppo compatto. Le braccia sono conserte. Entriamo nel cortile.  Dopo aver chiesto alle 2 giovani maestre il permesso, distribuiamo ai bambini prima delle caramelle e poi delle penne che avevamo portato dall’Italia. Le caramelle finiscono subito nelle loro bocche…ma anche qualche penna, abilmente e rapidamente smontata dai più piccoli, viene succhiata come un lecca-lecca!

Le maestre ci offrono tè e pasticcini. La classe è un unico grande stanzone con 4 lavagne di piccole dimensioni appese ai muri e alcuni banchi in legno dai quali spuntano le colorate borse shan: unica nota di colore all’interno di questo buio stanzone. I bambini che giocavano scalzi in cortile si fermano per salutarci, risaliamo in macchina col cuore colmo di commozione. Le maestre battono due pezzi di metallo fra loro, una rudimentale campanella distoglie i bimbi dai loro giochi: riprende la lezione! Il viaggio verso Mandalay è lungo, Sonny fa varie telefonate per prenotarci un albergo che risponda a nostri requisiti, lo trova e ci chiede di pagare subito per tutte le notti di nostra permanenza a Mandalay, questo per evitare che, una volta partito, l’albergatore non ci chieda una cifra più alta.

La nostra prima parte del viaggio in compagnia del nostro amico birmano si è conclusa, abbracciamo Sonny che riprenderà la strada per Yangon e saliamo in camera. In camera c’è la TV… Rai Internarional..Un posto al sole!! Incredibile! Dopo una doccia, distrutti, ci trasciniamo per le strade di Mandalay che, al buio, sembrano ancora più caotiche. Ceniamo, facciamo un giro al night market e, con la corrente che va e viene, torniamo in albergo. Imodium per Vale!

6° GIORNO: Mandalay

Da oggi inizia la nostra avventura birmana “in autonomia”…senza l’aiuto di Sonny….dobbiamo arrangiarci da soli!

Colazione, molto abbondante per Fabri, sul tetto dell’albergo, e via: si parte per una lunga giornata!

Il signore del risciò che ci aveva pedinato la sera prima e che incontreremo più volte durante il nostro soggiorno a Mandalay (al quale daremo alla fine della vacanza 1.000 K pur non avendo usufruito del suo servizio.. era troppo gentile!!) non è davanti all’albergo: via libera! Sono le 8.30 e ci aspetta una giornata all’insegna del motto “no risciò, no taxi, no bus!”: a piedi dalle 8.30 fino alle 21!

Iniziamo con la ricerca del biglietto per andare a Bagan tra 2 giorni, ma non riusciamo a trovare l’agenzia indicata sulla Routard. Ci siamo diretti all’imbarco lungo il fiume, qui la gente vive sulle rive dell’Ayeyarawady  in capanne, scatole di legno o semplicemente lungo i bordi della strada avvolti in coperte.

Bambini sporchi e scalzi scorazzano tra le rive sabbiose e la strada polverosa. Il solito crogiulo di umanità svolge i lavori più disparati (pittura lamiere, trasporto sacchi di cemento,..), cucina per strada, fa il bucato e stende i panni ovunque (sui pochi arbusti o sulle pietre al margine del fiume, o li reindossa bagnati). Si dice che il governo li voglia deportare in massa perché non sono “un bel vedere” per i turisti.

Arrivati al secondo imbarco compriamo i biglietti per il giorno successivo (Mingun). Riprendiamo la nostra camminata verso il centro, con una breve sosta per bere qualcosa di fresco in una te-house sulla strada, arrivati alla torre dell’orologio, svoltiamo a destra nell’affollatissimo mercato “Zegyo”.

Dopo un giro nel mercato all’aperto entriamo in un palazzone di quattro piani, una specie di bazar con bancarelle ovunque che vendono prevalentemente stoffe, longj, borse shan e gioielli.

Quasi privo di finestre sembra un edificio abbandonato in cui le bancarelle dei commercianti hanno liberamente preso posto posizionandosi in file più o meno regolari separate fra di loro da stretti corridoi. Il tocco di modernità è dato da una scala mobile centrale che sembra arrampicarsi nel vuoto fino all’ultimo piano, il piano chic, sede di parrucchieri e ristoranti (per ristoranti si intendono bui stanzoni dove la gente mangia per terra a gambe incrociate!).

Anche i monaci vanno e vengono in questa calca umana, anche loro salendo e scendendo delle scale mobili, l’aura di misticismo e contemplazione che di solito li circonda scompare in questo vortice di umanità indaffarata ed in continuo movimento.

Compro quattro longj e 6 borse shan ed  esco soddisfatta dei miei economici e coloratissimi acquisti. Riprendiamo la strada verso il Mandalay Fort, pranziamo (chapati e verdure fritte) presso un ristorantino di indiani cattolici con annesso un negozietto di artigianato locale, bello ma caro; il proprietario propone a Fabri di usare le sue Nike come merce di scambio… e tornare scalzo in Italia. Sulla strada acquistiamo presso l’MTT il biglietto per Bagan. Il forte di Mandalay è imponente, circondato da un largo fossato pieno d’acqua, ha una base a forma quadrata dove ogni lato misura circa due chilometri. Il perimetro del forte misura complessivamente 2400 tan (unità di misura birmana) come stanno ad indicare le lastre di pietra numerate poste tutt’intorno al fossato. Il paese ebbe precedentemente 3 capitali: Sagaing (1288), Ava (1364) e Amarapura (1785). Mandalay fu fondata da re Mindon che ordinò ad architetti ed ingegneri italiani e francesi la costruzione del palazzo reale nel 1857. Ma perché il re fece costruire una nuova capitale, distante solo 8 km dalla vecchia? Si narra che, quando il Buddha visitò questo luogo, dichiarò che nel duemilaquattrocentesimo anniversario della sua morte avrebbe dovuto sorgere una città ai piedi della collina di Mandalay. Il religiosissimo (la tradizione vuole che il sovrano fosse un bodhisattva) re Mindon, allo scadere della data, fece in modo che si avverasse questa profezia. Al momento della costruzione del palazzo fece seppellire vive circa 50 persone sotto tonnellate di pietre e mattoni, affinché le loro anime proteggessero il sito…ventinove anni dopo il palazzo finì nelle mani degli inglesi!

All’ingresso del forte il pullman del “Gruppo Gubbio” è appena arrivato, il mitico Gianfranco (capogruppo) ci racconta che, ogni anno , organizza circa 5 viaggi come questo, ma nel 2007 farà: oltre alla Birmania, Cina, Nepal, Sri-Lanka e un altro paese africano..che bellezza!

Visitiamo la Pagoda Kuthodaw, ai piedi della collina di Mandalay, soprannominata “il più grande libro aperto del mondo”. Tutto intorno alla pagoda centrale 729 lastre di alabastro (sfortunatamente nascoste da griglie) portano inciso il canone buddista elaborato dal sinodo (2.400 monaci lessero tutto il canone senza interruzione per sei mesi!) convocato sotto il re Mindon nel 1860 (la versione stampata occupa 38 volumi da circa 400 pagine ciascuno, si è calcolato che una persona normale impiegherebbe 450 giorni a leggere tutto il testo, dedicandovi 8 ore al giorno). In un angolo del recinto interno si trova la 730esima lastra, la cui iscrizione racconta come fu realizzato questo incredibile libro!

Visitiamo ancora la Sandamani Paya composta da un gruppo di stupa bianchi costruiti nel luogo in cui sorgeva la residenza che il re Mindon occupò mentre era in costruzione il nuovo pallazzo di Mandalay. Mindon preferiva concentrarsi sulle questioni religiose lasciando al fratello il governo del regno ma, nel 1866 questi fu assassinato nel corso di una rivolta, peraltro fallita, capeggiata dal principe Myingun: la Sandamani Paya fu costruita in memoria del principe nel punto in cui egli venne ucciso. La luce è stupenda, inizia il tramonto, scattiamo parecchie foto a questi stupa bianchi e dorati. Ci sono bambini  che vendono souvenir o chiedono penne e profumi. Mi si avvicinano 5 bambine, ma io ho solo una penna, allungo la mano e la più svelta la strappa via; le altre si lamentano dicendo che quella fa sempre la prepotente e non va neanche a scuola.. a che le serve la penna???..tutto il mondo è paese!

All’uscita delle pagode rincontriamo il gruppo Gubbio e Gianfranco ci spiega che “l’arte del baratto” è ancora ampiamente valida in questo paese!

Il sole sta per tramontare, ci incamminiamo verso casa, fermandoci a scattare alcune foto nei pressi del forte, ed è proprio qui che, nella semi oscurità del tramonto incontriamo, un uomo di mezz’età con le sue due giovani figlie che, pedalando, si avvicinano a noi, per parlarci.

Pensavamo volesse venderci qualcosa o proporsi come guida turistica, scopriamo invece che ci vuole parlare dell’atroce situazione in cui il popolo birmano, dimenticato dal resto del mondo, vive. Ci racconta della dittatura, dei lavori forzati, delle torture e delle deportazioni. Ma di fronte a questo elenco di atrocità, per noi inconcepibili ed assurde, la cosa che lui più sottolinea, e per la quale combatte e ci chiede aiuto, è la totale assenza di democrazia e di libertà di parola.

Le Nazioni Unite continuano a pagare per il restauro delle pagode ma nulla di più, la dittatura continua a violare i più basilari principi su cui l’organizzazione internazionale si fonda. “La speranza è che un cambiamento venga da fuori” ci dice “Il mondo non può dimenticarci, raccontate ciò che vi ho detto nel vostro paese e tornate in Birmania perché solo in questo modo, solo se i turisti vengono qui da noi, possiamo comunicare al mondo la nostra situazione e continuare a sperare.”

Tiziano Terzani scriveva che la Birmania, oggi denominata Myanmar, è l’ultimo paese asiatico non inquinato dalla strisciante occidentalizzazione che pervade quel continente. In effetti tutto il Myanmar è speciale, molto diverso e sicuramente più autentico rispetto ad altri paesi asiatici, ha un fascino particolare, vero, spontaneo e forse un po’ retro’. Nonostante sia schiacciato tra india, Cina e Penisola Indocinese, la Birmania è sempre stata un paese isolato, anche per le scelte autoritarie del rigido e antidemocratico regime militare che da anni lo governa. In tutta la sua storia, la Brimania è inoltre stata lacerata da continui conflitti interni con un conseguente susseguirsi di dittatori, ribelli antigovernativi, guerriglieri e focolai di rivolta. Le premesse non sono pertanto le migliori ma, nonostante questo, il popolo più gentile ed ospitale della terra continua a sorridere al viaggiatore con la sua disarmante serenità.

7° GIORNO MANDALAY

La mattinata inizia con la colazione all’ultimo piano dell’albergo; per oggi ci limitiamo a caffè, tè, pane e marmellata e fruit salad a base di papaia e anguria: le uova vengono bandite dalla tavola!

Ci immettiamo in quel caotico fiume di uomini, bici, riscio, auto, camion, bus, animali e polvere che scorre ininterrottamente per le vie di Mandalay e ci lasciamo trascinare dalla corrente ormai “pratici del luogo”, agevolati dal fatto che le vie, perpendicolari fra di loro, formano un reticolo di strade in cui è difficile perdersi.

Non è difficile orientarsi a Mandalay e perdersi è quasi impossibile dal momento che agli incroci ci sono sempre i cartelli che indicano il numero della strada, non solo con i caratteri birmani ma anche con i nostri occidentali.

Ci spingiamo a nord verso la torre dell’orologio, attraversando animati mercati in cui si vendono frutta e verdura e poi svoltiamo a ovest nella strada che dalla torre dell’orologio porta verso l’imbarco per Mingun.

Camminiamo lungo la strada polverosa ed è un susseguirsi di odori, improvvisi e talvolta molto forti, colori, visi, sorrisi, saluti che si alternano tra un hallo ed un mingalaba, suoni di clacson, un vociare a noi incomprensibile, scroscianti risate, tracce rosse di betel sputato per terra e polvere; il mio sguardo percorre il bordo della strada dove si ammassano “negozi”, bancarelle di cibo, bambini che giocano scalzi lungo la strada, sale da tè con il karaoke da cui spuntano sempre gli sguardi incuriositi dei presenti, cani pelle e ossa che scorazzano liberi qua e la, uomini agli incroci seduti sui loro risciò o sui “taxi blu”, quelli collettivi, uomini seduti su bassi sgabelli che giocano in 4 con  una scacchiera dalla forma per noi insolita: una croce le cui braccia hanno tutte la stessa lunghezza.

Lungo la strada si svolgono attività di ogni genere (chi ripara bici, chi ha il compito di gonfiare le gomme delle bici,..); alcune comprensibili altre meno.

Tutto  meriterebbe una foto, tutto desta curiosità mentre si viene trascinati da questo fiume in piena che percorre le strade di Mandalay e contemporaneamente ti isola dal mondo che ti circonda creando una barriera sonora di voci, frasi incomprensibili, clacson,..

Arriviamo all’imbarco per Mingun.

Dal pullman “amici di Gubbio” scende il solito gruppone di 47 persone che hanno affittato una barca tutta per loro e sulla quale si cucineranno il pesce per pranzo!

La nostra barca è attraccata un pò distante dalla riva e per arrivarci bisogna attraversarne altre 3, collegate fra loro da passerelle formate da 2 o 3 travi di legno il cui passamano è costituito da un bastone tenuto alle estremità da 2 persone.

Ci fanno sedere in sedie di bamboo, allineate in file ordinate, sotto coperta. Fa fresco ma dopo poco spunta il sole e saliamo di sopra a goderci il paesaggio che ci circonda. Lingue di sabbia scendono nelle acque del fiume, dalle capanne di paglia, come formichine, entrano ed escono persone indaffarate a caricare e scaricare le corte e sottili canoe con le quali si spostano lungo il fiume. Non siamo tanti sulla barca, circa una quindicina, di cui 2 italiani “brianzoli” Mentre lei è rimasta incavolata e muta per tutto il viaggio, lui ci ha minuziosamente raccontato della sua bella vita: 3 mesi in Thailandia in villa privata, 1 in Grecia, 1 a Ischia..così tutti gli anni!

In circa 1 ora siamo a Mingun, alle cui porte il turismo deve aver bussato già da qualche anno: nel momento stesso in cui i nostri piedi affondano nella sabbia della spiaggia dove abbiamo attraccato veniamo assaliti da bambini che vogliono vendere cartoline, chiedono caramelle, shampoo e profumi, donne che vendono bibite…

Iniziamo la visita dei monumenti:

  • Mingun Paya (l’incompiuta) fu iniziata nel 1790 e interrotta nel 1819, alla morte del re Bodawpaya, a quell’epoca misurava un terzo dell’altezza che l’edificio avrebbe raggiunto se fosse stato completato (150 m!!). La base dello stupa si erge per 50 m di altezza ed ogni lato ne misura 72,  nonostante il monumento sia un cumulo di rovine, per salire sulla base, da cui si godono fantastiche vedute di Mingun e del fiume, bisogna togliersi le scarpe …..fabri hai pagato 200k per farti fare la guardia alle infradito!
  • Mingun Bell. Nel 1808 Bodawpaya fece fondere questa enorme campana destinata al suo gigantesco zedi: pesa 90 tonnellate ed è considerata la più grande campana sospesa ancora intatta esistente al mondo, alta 4 m ha un diametro di 5m.
  • Il mondo buddista – Hsinbyume Paya è uno stupa costruito nel 1816 da re Bayidaw.

Tutto avvolto da palme e da una verde vegetazione.

Lungo la strada bancarelle vendono souvenir e quadri, finalmente troviamo il nostro: monache rosa su uno sfondo giallo. Torniamo indietro con il battello a Mandalay, ci fermiamo a mangiare lungo la strada 1 piatto di riso con le solite verdure e carne alla “birmana”, acqua e caffè per 1.300 k, 1 dollaro, 80 centesimi: da noi neanche 1 caffè!

Arrivati in albergo ci permettiamo una sosta di mezz’oretta per poi ripartire verso la Mahamuni Paya: a piedi!

Troviamo 1 e-mail point, mandiamo la nostra e-mail e 1 giovane monaco ci accompagna per un tratto di strada chiedendoci se vogliamo andare a visitare il suo monastero. Fermi a un incrocio parliamo e gli scriviamo il nostro indirizzo e-mail; ripetendo lo spelling più volte: tutti in coro con noi, il monaco e 1 vecchietto dalla pelle color cioccolata che si era unito al gruppo, ripetiamo ad alta voce 1 per 1 le lettere che compongono il nostro indirizzo e-mail. Il monaco ci ringrazia e ci saluta; il vecchietto ci offre spicchi di mandarino ringraziandoci animatamente.

Sulla strada un gruppo di ragazzi gioca alla pallavolo birmana (kilo??), muniti di ginocchiere volteggiano in aria tirando calci a una palla di bamboo che deve oltrepassare la rete, non cadere a terra e che si può toccare solo coi piedi. Camminiamo ancora, arriviamo alla Mahamuni Paya, bancarelle di souvenir circondano il luogo sacro, il corpo del Buddha è completamente coperto da foglie d’oro, si riconosce solo la testa. Le donne si devono fermare un pò prima. Uno schermo proietta l’immagine del Buddha: quando ci sono tanti fedeli non tutti possono entrare nella stanza della statua, chi non riesce a entrare si ferma a pregare di fronte al video. Ritorno in albergo, cena e nanna.

8° GIORNO MANDALAY-BAGAN

La sveglia suona presto oggi: alle 5.45 siamo in piedi. Il tempo di vestirci, chiudere i bagagli, presentarci alla colazione delle 6 (anche oggi saltiamo uovo  e omelette) dove ci sono 2 tedeschi con cui dividiamo il taxi che ci porta all’imbarco per Bagan.

Scesi dal taxi veniamo assaliti da uomini e donne che ci vogliono portare i bagagli, Fabri tiene duro, io neanche ci provo: 1000 k per trasporto zaino! I posti sono assegnati a ciascuno di noi,  sotto coperta, noi abbiamo 9f e 9e ma, durante la traversata ci sposteremo ai ponti superiori.

La traversata è lunga, siamo partiti alle sette per arrivare alle 19. Tra 1 lettura e l’altra, un sonnellino, 2 pause bar a base di caffè e coca-cola, attracchiamo 2 volte a dei pontili e veniamo richiamati dalle urla di donne e bambini, che si spingono verso di noi con l’acqua che gli arriva fin sotto le ascelle: i bambini a parole e gesti “ penne, shampoo, profumi e rossetti”; le donne con cesti di frutta sulla testa cercano di vendere banane e cibo di vario genere. Idem alla fermata successiva dove la mercanzia è rappresentata da belle e colorate coperte  a quadri.

Il lungo fiume è 1 susseguirsi di spiagge sormontate da verdi palme e da rigogliosa vegetazione. Canoe e chiatte scorrono lente lungo il fiume, gli uomini formica compaiono qua e la: chi fa il bucato, chi ara il campo, chi pesca….tutti salutano dalla riva del fiume e dalle imbarcazioni.

I turisti, dopo uno slancio iniziale (tutti andavano avanti e indietro sul ponte della barca salutando e fotografando) sono (siamo) crollati sulle sedie di bamboo a leggere, scrivere, mangiare e dormire.

Entusiasmo e curiosità sono passati; il lento scorrere sul fiume e il susseguirsi del monotono paesaggio hanno avuto la meglio e buona parte di questi paesaggi resterà sconosciuta agli occhi di questi occidentali. Arrivati a Bagan, scendiamo dal battello ci aspettavamo un piccolo porticciolo ma il ferry boat attracca invece presso un moletto dal quale parte una strada sterrata.

Cerchiamo sui cartelli tenuti in mano dai vari albergatori che vengono a prender ei turisti i nostri nomi (Sonny aveva contattato per noi un albergo del posto), vediamo un  sbriziso.. dev’essere Fabrizio! Paghiamo 10 $ a testa per l’ingresso a bagan e con 3 canadesi (mark e i suoi genitori) saliamo sul retro di un furgoncino per arrivare dopo poco all’albergo: bungalow in bambù, piscina, ristorantino, tutto immerso in una rigogliosa vegetazione: ci fermeremo 3 giorni anziché 2. Ceniamo nel giardino dell’albergo, con spettacolo di marionette, alle 10 si va a nanna.

9° GIORNO BAGAN

Oggi niente sveglia! Ci alziamo verso le 9, colazione a buffet nel giardino dell’albergo e partiamo, come di consueto a piedi, per un giro di New Bagan. Da un giorno all’altro ci troviamo catapultati dalla caotica e polverosa Mandalay a un paesino dove le strade asfaltate (dovrei dire semi-asfaltate) sono 2, per il resto ci sono solo sterrati di pietre e sabbia bordati da case, la maggior parte delle quali hanno 1 solo piano con pareti in bamboo e tetto in paglia. Strada facendo un signore ci fa cenno dalla porta di casa di avvicinarci; ci mostra i suoi quadri, è un artista! Dipinge con colori naturali o con la sabbia del fiume. Un piano di vetro è poggiato su quattro cubetti di legno a formare un tavolino, una luce sotto il vetro permette di ricalcare sulle tele i disegni presi dalle pagine di vecchie riviste che illustrano i decori presenti sulle pareti dei templi. Viene poi passata la sabbia, probabilmente mischiata ad un qualche collante e poi fatta asciugare; il disegno viene quindi ricalcato una seconda volta ed infine si passa al colore.

I disegni riprendono scene di vita contadina, barche che scendono lente il fiume ed immagini che ritraggono storie buddiste (la nascita di Budda dal fianco della madre, i nat, il Budda seduto a gambe incrociate mostrando i palmi delle mani come simbolo di pace, il calendario birmano dove ogni giorno è rappresentato da un diverso animale ed il mercoledì è diviso in due parti: la mattina è rappresentata da un elefante con le zanne, il pomeriggio da uno privo di zanne).

La mamma dell’artista ci offre delle palline fatte di pasta di mandorle, salutiamo e andiamo via.

Camminiamo lungo uno sterrato ai cui lati sorgono le solite casette di paglia e bamboo,  il pavimento è in terra battuta e su di esso vengono posate disordinatamente stuoie di bamboo.

I bambini (alcuni piccolissimi, non avranno più di 2 anni, anche se è difficile attribuire la giusta età a questo popolo minuto, i cui volti, almeno fino ai 40 anni sembrano sempre privi di rughe) scorazzano chi nel cortile di casa, chi in mezzo alla strada polverosa, per lo più scalzi, privi di qualunque giocattolo, al massimo una palla di giunchi di bamboo intrecciati fra di loro, in compagnia di cani, galline, pulcini, maiali e mucche che vagano anch’essi liberamente.

Scendiamo lungo la riva del fiume dove tutto appare immobile, anche le lunghe canoe che lo attraversano sembrano non lasciare traccia del loro passaggio. Ci dirigiamo verso Lawkananda Kyaung. L’edificio, caratterizzato da una peculiare cupola cilindrica allungata fu costruito nel 1059 da Anawrahta, il primo degli undici sovrani che regnarono a Bagan nella sua epoca più rigogliosa (1044-1287). Usato quotidianamente come luogo di culto, si ritiene custodisca un importante copia del dente del Budda. I bambini vendono cartoline (una per 1 dollaro), giocano a pallone all’inizio della scalinata che porta all’edificio; poi, stanchi di vendere cartoline a turisti che scuotono la testa, piegano i pochi soldi incassati formando dei pacchetti triangolari, li legano a uno spago  e si divertono a lanciarli come se fossero yo-yo.

Altri invece creano con ciascuna banconota dei birilli che dispongono in fila sulle panchine e che cercano di abbattere con piccole pietroline in un rudimentale gioco del bowling. Torniamo indietro verso l’albergo, pranziamo in un bel ristorante i cui tavolini, sparsi su un prato fiorito, si affacciano sulle sponde del fiume (Si Thu Restaurant). Dopo due abbondanti piatti di vermicelli con le verdure e gamberi, 2 fruit salad, coca e caffè (8.000 k, poco più di 6 euro) andiamo in albergo dove restiamo per tutto il pomeriggio ai bordi della piscina. Verso le 5 torniamo alla Lawkananda Kyaung per il tramonto, ritroviamo il pittore e sulla strada del ritorno ci fermiamo a comprargli un quadro (3 dollari). Un ragazzetto con 3 stecchini nell’orecchio sinistro ci segue, lo incontreremo ogni sera trascorsa a Bagan, verrà con noi ovunque, aspettandoci fuori dai negozi di lacche e dai ristoranti, tutto per scambiare quattro chicchere in inglese e 1 euro come souvenir l’ultima sera. Ceniamo in paese e un ragazzo, anche lui pittore, dopo averci impartito la nostra prima lezione di birmano, ci mostra i suoi dipinti (identici a quelli visti nel pomeriggio). Non compriamo nulla ne abbiamo nulla da barattare (ci chiede profumi ed orologi) e torniamo in albergo.

Dal 10° al 12° GIORNO VISTA BAGAN

A Bagan ci siamo fermati alcuni giorni, il numero di templi de a visiatre è infinito, ci si potrebbe perdere nella visita di queste bellezze architettoniche, una settimana non basta per vedere tutto! Decidiamo di noleggiare 2 bici per visitare la zona, in questo modo siamo totalmente autonomi, ed  oltre ai templi possiamo fermarci nelle case delle persone, a visitare mini fabbriche di ceramiche e lacche…alla fine della nostra visita a Bagan partiamo con circa 150 ciotole in bambù laccate amano, la bomboniera per il nostro matrimonio, originale e veramente equo-solidale!

13° GIORNO DA BAGAN A YANGON Per andare da Bagan a Yangon abbiamo preso un pullman notturno(prenotato il giorno prima); siamo partiti per le 15 ed arrivati a Yangon alle 6 del mattino…ed anche questa è stata un’esperienza! Saliti sul pullman ci assegnano 2 posti a sedere in fondo, il pullman è pieno ma ci sono ancora persone che aspettano di salire….scopriamo a questo punto che lungo il corridoio è possibile tirar fuori altri seggiolini per i viaggiatori che erano rimasti fuori, risultato: siamo blindati dentro a sto pullman mezzo scalcagnato. Ci fermiamo 1 volta per cenare in un chioschetto a bordo strada e altre 2 volte per eventuali bisogni fisiologici (da farsi lungo il bordo della strada, possibilmente senza allontanarsi troppo perché, mi dicono, ci sono i serpenti!)…dimenticavo ci siamo fermati 1 altra volta per cambiare una gomma che si è bucata durante il tragitto!

Dal 13° al 15° GIORNO VISITA YANGON

Gli ultimi giorni li abbiamo dedicati a un po di relax, shopping e visita alla città; non perdetevi la visita allo Stupa shwedagon, un complesso di templi, con una grande pagoda centrale che con i suoi 100 metri di altezza domina l’intera città, pieno di statue, santuari e padiglioni. Il complesso è una delle mete più importanti di pellegrinaggio dei fedeli che troverete in giro per il complesso chi a pregare, chi a bruciare incensi e chi semplicemente a passeggiare.

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